Massimo Marciano
Massimo Marciano

La ripresa televisiva delle sedute del consiglio comunale è materia importante e complessa, investendo un insieme di norme – amministrative, legislative e di rango costituzionale – il cui fine è quello sia di tutelare la libera espressione del pensiero, sia il diritto all’informazione.

Sono beni che trovano suprema garanzia nell’articolo 21 della Costituzione, secondo una triplice valenza riconosciutagli dalla dottrina e dalla giurisprudenza:

–            quella della tutela degli operatori dell’informazione perché possano esercitare in pieno il proprio diritto-dovere di cronaca;

–            quella di permettere al consigliere, che ha ricevuto dal corpo elettorale il mandato di rappresentarlo come forma dell’esercizio della sovranità popolare sancita dall’art. 1 della Costituzione, di poter esprimere le proprie opinioni, liberamente e senza condizionamenti di sorta;

–            quella, infine, che garantisce al cittadino il diritto ad essere correttamente informato, senza omissioni o manipolazioni che mirino a stravolgere la «verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede», verso la quale impone rispetto l’articolo 2 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 sull “Ordinamento della professione di giornalista”.

Va innanzitutto ricordato che, ai sensi dell’articolo 38, comma 7 del Testo unico sull’ordinamento degli Enti locali, «le sedute del consiglio comunale sono pubbliche, salvo i casi previsti dal regolamento». Tale disposizione, secondo il parere del ministero dell’Interno del 20 dicembre 2004, «va letta nel senso che, in linea generale, deve essere consentito al pubblico di assistere alle sedute consiliari dalla postazione, appunto, riservata al pubblico». Sempre l’articolo 38, al comma 3, attribuisce al consiglio una «autonomia funzionale e organizzativa» al cui ambito è da ricondurre la potestà di regolare, con apposite norme (il regolamento consiliare), ogni aspetto attinente al funzionamento dell’assemblea.

A questo riguardo, il Garante per la protezione dei dati personali, l’11 marzo 2002, rispondendo al quesito di un Comune sulla possibilità di pubblicizzare le sedute del consiglio comunale attraverso una televisione locale, si è espresso nel seguente modo:

«Con specifico riferimento alle sedute consiliari, l’articolo 38 citato rinvia al regolamento ivi previsto per l’introduzione di eventuali limiti al regime di pubblicità sopra descritto. Il regolamento ora citato può dunque costituire ad avviso di questa Autorità la sede idonea a disciplinare le modalità e i limiti di pubblicità delle sedute consiliari, ivi comprese le eventuali riprese televisive. Pertanto, tale fonte normativa, da una parte, potrebbe rendere esplicito quanto già richiamato dal Garante […], ed in particolare l’obbligo di informare i partecipanti alla seduta dell’esistenza delle telecamere, della successiva diffusione delle immagini (precisando eventualmente anche i tempi e le modalità di programmazione dei servizi), nonché degli altri elementi previsti dall’articolo 10 della legge 675 [del 1996]. E, dall’altra, potrebbe specificare le ipotesi in cui si renda eventualmente necessario limitare le riprese o indicare le procedure attraverso cui tale limitazione possa essere volta a volta decisa. Ciò, al fine di assicurare, con riferimento ad alcune informazioni particolarmente “delicate”, la riservatezza dei soggetti presenti alla seduta, eventualmente anche fra il pubblico, o che siano oggetto del relativo dibattito».

L’esigenza della preventiva informazione, rispetto alla convocazione della seduta, della presenza di telecamere, con la conseguente potenziale registrazione di fatti e circostanze che potrebbero agevolmente essere acquisiti da archivi e banche-dati, è d’altra parte prevista anche del “Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica”, approvato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti con decisione del 29 luglio 1998. Tale Carta deontologica, infatti, all’articolo 2 afferma:

«Il giornalista che raccoglie notizie per una delle operazioni di cui all’articolo 1, comma 2, lettera b) della legge numero 675/96 rende nota la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta, salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa; evita artifici e pressioni indebite».

Inoltre, il Garante per la protezione dei dati personali, nel medesimo parere visto sopra, più avanti avverte:

«Anche alla luce di quanto emerso dalle note pervenute all’Autorità, si deve comunque ricordare che la vigente normativa in materia di protezione dei dati personali riconosce agli interessati – il Consiglio comunale o, eventualmente, anche i singoli componenti – la facoltà di esercitare, direttamente presso l’emittente televisiva locale, alcuni diritti a tutela dei dati trattati, ivi compreso quello di prendere visione delle riprese effettuate durante le sedute consiliari (si veda, in particolare l’articolo 13 della legge 675/96 nonché l’articolo 17 del D.P.R. 31 marzo 1998, n. 501)».

Secondo il già citato parere del ministero dell’Interno, le norme regolamentari del consiglio comunale «possono regolare, tra i vari profili relativi alla disciplina dello svolgimento dell’adunanza, anche quello della registrazione del dibattito e delle votazioni con mezzi audiovisivi, sia da parte degli uffici di supporto all’attività di verbalizzazione del segretario comunale (articolo 97, comma 4, lettera a, del Testo unico sull’ordinamento degli Enti locali), che da parte dei consiglieri comunali, dei cittadini ammessi ad assistere alla seduta e degli organi di informazione radiotelevisiva».

In assenza di una esplicita previsione regolamentare, secondo il ministero dell’Interno, l’ammissione della registrazione può essere regolata, caso per caso, dal presidente del consiglio comunale nell’esercizio dei poteri di direzione dei lavori dell’assemblea attribuitigli dall’articolo 39, comma 1 del Testo unico sull’ordinamento degli Enti locali, in stretta correlazione alle esigenze di ordinato svolgimento dell’attività consiliare.

Troviamo conferma a quanto precede anche nella giurisprudenza che, ad esempio, con la Corte di Cassazione (Sezione prima, n. 5128/2001) non ha rilevato profili di illegittimità in un regolamento consiliare che faceva divieto di introdurre nella sala del consiglio apparecchi di riproduzione audiovisiva, se non previa autorizzazione, e ha rigettato con il T.A.R. Veneto, Sezione seconda, n. 60/2002, il ricorso contro il diniego del rilascio di copia di una registrazione su nastro di una seduta consiliare, a motivo del fatto che detta registrazione, «non costituendo un “documento amministrativo” ma un “mero ausilio” riconducibile a semplici appunti», non rientra nell’ambito applicativo della legge n. 241/1990, che invece riguarda il verbale della seduta redatto dal segretario comunale avvalendosi della registrazione (nello stesso senso: T.A.R. Marche, n. 170/1997).

Analogo orientamento, con riguardo agli «eventuali appunti o annotazioni dei funzionari addetti alla verbalizzazione», è stato espresso dal T.A.R. del Lazio (n. 2800/1997).

Pertanto, se la registrazione della seduta da parte dell’amministrazione non legittima la richiesta del rilascio di copia, a maggior ragione, non può sostenersi – secondo il già citato parere del ministero dell’Interno – il diritto a procedere autonomamente e senza limiti alla registrazione, superando gli eventuali divieti posti dall’amministrazione. Sulla base della giurisprudenza precedentemente vista, a margine di tale potere regolamentare e nell’ambito del citato principio di pubblicità della seduta, l’amministrazione può legittimamente riservarsi il diritto di registrare con mezzi audiovisivi, anche escludendo che altri soggetti e il pubblico in aula possano procedervi. In questo senso, la pubblicità della seduta non implica la facoltà di registrazione, ma la libera presenza di chi abbia interesse ad assistere alle sedute.

Il consiglio comunale di Frascati, a tutt’oggi, non ha regolamentato le riprese audiovisive delle proprie sedute. È compito della Commissione affari istituzionali affrontare la discussione di un progetto di regolamento in materia, da sottoporre quanto prima all’approvazione del consiglio comunale. Data l’importanza di questo strumento normativo per assicurare la più ampia pubblicità delle sedute, nel rispetto delle opportune garanzie per tutti i soggetti coinvolti, è quanto mai urgente che il presidente della Commissione Affari istituzionali, il consigliere Alessandro Adotti, che sicuramente condivide questa premura, inserisca l’esame di una bozza di regolamento per le riprese audiovisive nel calendario dei lavori della Commissione.

Nelle more dell’approvazione di un apposito regolamento, spetta quindi al presidente del consiglio comunale, nell’ambito dei propri poteri di direzione dei lavori e delle attività del consiglio, garantire il regolare svolgimento della seduta e la tutela delle prerogative dell’organo assembleare, compresa quindi la salvaguardia dei diritti dei presenti, peraltro non preventivamente informati della presenza di telecamere. Non può quindi essere autorizzata la ripresa integrale della seduta finché la fattispecie non sia regolamentata dal consiglio comunale.

Il presidente del consiglio comunale, ad ogni modo, nell’assenza di norme che garantiscano le modalità di svolgimento delle riprese audiovisive, ritiene essenziale assicurare il diritto di cronaca dei giornalisti. In analogia con quanto deciso dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con la delibera 17 luglio 2009, numero 405, in merito al “Regolamento per l’esercizio del diritto di cronaca audiovisiva” delle partite di calcio, il presidente del consiglio comunale autorizza, quindi, i giornalisti che ne abbiano fatto richiesta ad effettuare riprese televisive per non più di tre minuti, a partire dal segnale dato dalla presidenza del consiglio, affinché possano essere montate a corredo del servizio giornalistico con la cronaca della seduta.

Libertà di stampa, facciamo il punto

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