I lavoratori lottano, vincono, salvano la propria fabbrica! Cinque operai che vivono per otto giorni su una piattaforma di metallo ad agosto, sotto il sole, con temperature fino a 50 gradi.
Cinque operai per tutti: Massimo Merlo, 54 anni, addetto al controllo, magro come un chiodo con le braccia tatuate; Fabio Bottaferia, 45 anni, alesatore, capelli lunghi fino alla schiena raccolti in una coda; Vincenzo Acerenza, 60 anni, il capopopolo della Innse, elettricista a due passi dalla pensione; Luigi Esposito, 48, gruista; Roberto Giudici, 58 anni, sindacalista Fiom come Merlo e Acerenza.
Hanno vinto! Giorni di lotta e di amicizia: “Ci sostenevamo a vicenda – ricorda Merlo – ma quello che dava di più la carica era Vincenzo, il più anziano. Per lui a poche ore dalla salvezza della Innse, un pacchetto preparato da Marica, sua moglie da 43 anni. Medicine per la pressione e per i reni, perché senza non ci poteva stare. Proprio come non poteva stare senza la sua fabbrica”.
Hanno vinto dopo che poliziotti e carabinieri avevano sgomberato, su ordine della prefettura, la fabbrica dai lavoratori e mentre i lacchè della Genta smontavano i macchinari, tentando di svuotare la loro fabbrica.
La fabbrica di chi? La fabbrica del padrone?
Vediamo se questo personaggio poteva garantire responsabilmente la sopravvivenza della fabbrica e delle famiglie dei suoi lavoratori. Genta acquistò la Innse (valore 14 milioni di euro), sotto amministrazione straordinaria, per 700 mila euro. A quel prezzo potevo comprarmela anche io, con un bel mutuo, ma con tutti i 49 operai!
Il gioco di Genta era questo: comprare a due soldi, dichiarare fallimento, rifiutando le commesse, e vendere intascando un monte di quattrini. A giocare non c’è solo il padrone formale. Ci sono le istituzioni, con i loro comitati d’affari ed i loro immancabili apparati repressivi.
Mentre, da una parte, le istituzioni dicono di avere la volontà politica di trovare una soluzione per salvare i posti di lavoro, dall’altra, due giorni dopo, il Ministero degli Interni manda polizia e carabinieri a presidiare lo smantellamento dei macchinari per chiudere la partita.
Nel frattempo, da più parti l’unica forma di solidarietà che viene data ai lavoratori è quella delle parole.
L’unica garanzia che hanno gli operai, quindi, è la loro indipendenza e la loro determinazione a lottare. L’unico sostegno possibile è la solidarietà e la mobilitazione di classe, che deve stringersi intorno ai lavoratori in lotta. Solo i lavoratori dimostrano, come sempre nella storia, la responsabilità per la salvaguardia delle macchine e delle fabbriche, garanzia di una vita possibile per le proprie famiglie, di un futuro per i propri figli, di una possibilità di crescita culturale, sociale della propria classe.
Sembrano parole vecchie e logore: sicuramente non sono state pronunciate di frequente negli ultimi tempi, ma la vicenda della Innse dimostra quanto sia attuale la lotta che essere sottintendono.

Innse: quando gli operai lottano e salvano il proprio diritto al lavoro
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